Una selezione di dipinti editi e inediti dagli anni Ottanta al Duemila di Renzo Codognotto, saranno esposti dal 4 Agosto al 3 Settembre 2023 nella Chiesa di San Giovanni dei Battuti a Spilimbergo. L’esposizione “Paesaggi dell’anima “,patrocinata dalla Parrocchia di S.Maria Maggiore, dalla città di Spilimbergo e Pro Spilimbergo e dalle Associazioni Erasmo da Rotterdam e dalla Associazione Internazionale di Arti Plastiche Aiap , rende omaggio alla carriera di oltre sessant’anni di attività dell’ artista. Renzo Codognotto, ha nelle sue poesie marine , perché così si possono definire , la rivelazione delle proprie ragioni profonde d’essere artista. Sa declinare un’arte delicata, rara. Luce diffusa e colori tenui sono la chiave della sua opera pittorica. Pochi elementi per creare un un’atmosfera serena, un paesaggio idilliaco, sognato , fatto di atmosfere rarefatte e di tempi passati. Qui , tra queste barche , figure alla finestra , conchiglie in primo piano e tracce storiche Aquileiesi , si fondono i sentimenti più intimi dell’artista. La figura umana diventa apparizione. I corpi femminili in primo piano , ridotti a presenze metafisiche , emergono in modo inscindibile dal luogo da cui sorgono , come il ritratto etereo della giovane nipote che fa da manifesto a questa esposizione.



INTRODUZIONE

Una ricerca artistica all’insegna della razionalità e della materia, quella che Mauro Gentile sta
portando avanti dal 2012, data di Conversazione sui numeri, una piccola grafica (cm. 21×21) in cui i
moduli si dispongono sulla carta grazie a un accorto dosaggio di tempere e pigmenti.
Negli ultimi anni Mauro Gentile ha inventato una sperimentazione, che gli offre l’opportunità di
applicare la sua sensibilità da architetto, una dimensione intellettuale particolare oscillante tra
regole razionali e spunti creativi tipici della professione. Una ispirazione che si rivela in tutte le
serie di opere presentate in questa mostra di San Vito al Tagliamento, luogo quantomai adatto al
tipo di arte concettuale perseguita dall’autore, come da anni insegna la manifestazione Palinsesti,
che ha rivelato artisti famosi dell’arte contemporanea.
Anche Mauro Gentile ha una attitudine concettuale, che combina in modo assolutamente personale
con riferimenti all’arte giapponese sia nella ricerca della essenzialità formale, tipica della filosofia
zen, sia soprattutto nei toni cromatici neutri in cui la fanno da padrone il bianco della carta riciclata,
gli inchiostri, i pigmenti ferrosi, le tempere.
In mostra ci sono sculture e grafiche che si compenetrano le une con le altre, rispecchiandosi
vicendevolmente in serie di lavori databili per lo più negli ultimi due, tre anni e che comprendono
alcune opere già presenti nella bella mostra allestita a Cividale del Friuli nel 2019.
Già nel nome alcune opere come Naos (2019) o Mastaba (2020) mostrano rimandi all’architettura
greca ed egiziana, composizioni scultoree dalle dimensioni contenute in cui un ruolo
importantissimo è assunto dai materiali come nell’Arte Povera. Questi dialogano tra loro, spesso in
opposizione duale come pesante/ leggero o chiaro/ scuro e hanno sempre a che fare con il mestiere
dell’architetto. La carta riciclata, che rimanda ai progetti, è l’elemento che unifica tutte le serie
scultoree e le grafiche: un tipo di carta fatta a mano, pesante, che nella sua materialità reca traccia
del complesso procedimento di manifattura, affine a quella degli artisti giapponesi. Nelle serie
grafiche Atlas (2017-2020) e Hypnos (2020) sui grandi fogli dai contorni irregolari si dispongono a
strati altri elementi bidimensionali, spesso carte corrugate, che grazie all’uso sapiente di oli ed
inchiostri spesso alludono alla terza dimensione, come in Atlas (2017). Fa eccezione solo Hypnos
Macchina scenica (2020) in cui sulla tela del fondo, sottili fili di ferro e tramature ad olio, quasi
surrealistici frottage, richiamano le misurate composizioni scultoree.
In queste ultime l’elemento conduttore è ancora la carta riciclata, modellata come un materiale
scultoreo e che asciugandosi assume, specie nei profili, tonalità bruciate che esaltano curve e

spigoli. In alcune serie le sculture di carta si combinano con le pietre in un gioco tutto intellettuale
tra la pesantezza del sasso e la leggerezza della carta in oggetti dai volumi equivalenti. Pietre e
cubetti di porfido sembrano giocare tra loro, scambiandosi i ruoli. Numerose sono le variazioni: in
Naos (2019) e Anacoresi (2019) pietre e carta sono forme distinte, ma complementari, dove spesso i
sassi sono inseriti in strutture avvolgenti che evocano ponti. In Magister (2019), Credo (2019) e
Mastaba (2020) la carta si integra con le pietre, le completa facendo loro assumere altre forme,
diverse a seconda dei vari punti di vista. Anche l’equilibrio è labile e incerto; le masse si inclinano
facendosi reciprocamente il verso invitando il visitatore a cercare somiglianze, contrasti,
contrapposizioni e sinergie tra le forme. Un procedimento mentale tipico della filosofia zen e questi
piccoli gruppi scultorei richiamano proprio l’attitudine psicologica orientale, con cui ci si deve
avvicinare ai giardini di pietra giapponesi.
L’architetto artista si serve spesso anche di legno e quindi in Angelia (2019) quelli che sembrano
frammenti di impalcature si combinano con masse di carta e grovigli di fili di ferro, che uniscono le
forme e richiamano i sottili segni dell’espressionismo astratto di Wols. Tutti i materiali edilizi
compaiono nelle varie serie, sostituendo in parte le pietre: si combinano con la carta le lastre di
piombo di antiche tubature, mentre in Sancti (2019) un embrice di terracotta annerita dal tempo si
unisce all’abbraccio morbido della carta quasi in una danza.
Già presentate a Cividale, ritornano anche le città immaginarie della serie Polis (2019) in cui legni
di cantiere, pezzi di travi, alluminio, masse di carta evocano lo skyline delle megalopoli,
permettendo libertà compositiva e un gioco nella ricerca di inedite corrispondenze tra materiali.
Questi non sono mai nuovi, ma vengono trovati nei cantieri: scarti che riacquistano nuova vita
grazie alla creatività artistica.
Proprio i profili lineari di Polis (2019) fanno da passaggio all’ultima fase di sperimentazione di
Mauro Gentile, qui presentata per la prima volta, in cui fortissima è la ricerca di essenzialità e la
scultura si confronta con le Geografie (2020). Queste sono una sorta di retro tele, cioè la struttura
lignea del dipinto su cui si aggancia la tela, che costituisce il dipinto. Una trama lignea su cui si
dispongono, come nelle finestre delle case orientali, delle strisce di carta, certe volte allungate, altre
ripiegate, su cui spesso compaiono i profili delle Polis e si dispongono ritmicamente antichi chiodi e
sassi.
Le Geografie, a metà tra sculture e alto rilievi, hanno delle misure grandi che amplificano quelle
piuttosto ridotte dei Titoli (2020), composizioni più piccole in cui prevalgono anche nei nomi gli
elementi modulari. Non a caso si chiamano Titolo uno, Titolo uno (di nuovo), Titolo due, Titolo tre,
Titolo quattro e Titolo cinque: sono opere costituite da una sorta di apparenti irregolari telai in

legno. I moduli si duplicano, triplicano, moltiplicandosi e dando vita a strutture che inglobano tele,
fili di ferro, pietre rendendo le composizioni sempre variate, ma pur sempre riconoscibili.
Titolo uno (2020), la prima della serie, sembra quasi una finestra con antiche grate, un modulo che
si ripete espandendosi in verticale, in orizzontale a determinare altre composizioni tridimensionali
in cui gli spazi si uniscono con fili di ferro e si popolano di strisce di tela, di sassi, che permettono
di variare sempre la composizione.
La misurata cadenza dei moduli, l’uso di materiali essenziali caratterizzano dunque l’arte sospesa e
meditativa di Mauro Gentile, riescono ad esplicitarne il ragionamento razionale, caratteristico del
suo operare, insieme alla poetica ricerca dell’essenzialità dell’essere.

Gabriella Bucco


Suggestioni di forme
La tridimensionalità delle opere plastiche di Mauro Gentile impone un esame di quanto l’artista abbia
elaborato e visto a partire dalle sue prime prove pittoriche. Una scultura permeata da silenzi e atmosfere
dalla evocativa spazialità.
Nasce come testimonianza di un lungo percorso inerente l’evoluzione dell’arte e della cultura che Gentile
ha visto, studiato, elaborato. Egli ha scandito le sue intuizioni, le percezioni, con la volontà di scoprire
sempre nuove possibilità per esprimersi, per affidare alla carta, al legno, al ferro e alla pietra la propria
interiorità.
Secondo il filosofo tedesco Martin Heidegger , l’essenza della vita, lo scorrere del tempo che ha da
sempre affascinato l’essere umano , ha cominciato a divenire ossessione con l’avvento della civilità
industriale che lo ha sradicato dai cicli naturali.
In continuità con questo pensiero Gentile lavora in modo approfondito sul senso della memoria, la forma
dei ricordi e la consapevolezza che ogni materiale nel tempo si carica di “antico”.
Questo innesca l’interesse per il passato visto come base per una visione futura.
L’idea si trasforma in suggestioni di forme, in rappresentazioni che tendono alla connessione di elementi
naturali e industriali frutto per buona parte di casuali ritrovamenti nei cantieri che frequenta come
Architetto. Sono forme immateriali che l’artista ha pensato, ideato, e poi misteriosamente ricavato da
assemblaggi di materiali trovati, manipolati e piegati ai suoi fini o che gli stessi materiali hanno finito per
suscitare nella sua mente, giacché una delle caratteristiche essenziali di queste opere è quella di nascere
sempre dall’incontro di un’idea con un elemento oggettuale.
L’opera si sviluppa quindi partendo da un incontro fortuito che lega la forma trovata con l’idea che
aleggia, nell’infinito laboratorio subcosciente che mette insieme riferimenti studiati con riferimenti visivi
nei luoghi da lui visitati e il ricordo delle esperienze passate.
Un discorso il suo che unisce pittura e scultura, segno e materia, in una dichiarata sospensione
psicologica; in un continuo richiamo a una sottesa spiritualità.
Vi è una ricerca di purezza assoluta, un fluire della linea che circoscrive i volumi frutto di una sintesi
espressiva che va oltre la figurazione, frutto della congiunzione tra gesto e conoscenza. L’esplorazione
della materia e l’equilibrio tra pieni e vuoti tra luce e ombra contraddistingue il suo lavoro.
La luce rivela frammenti di un inesplorato universo, di una musicalità che trasforma la scultura in un
racconto tra visibile e invisibile. Oltrepassa i termini di una narrazione tradizionale approdando in piena
autonomia a composizioni che prediligono i colori propri dei materiali o, come i suoi disegni, il bianco e
il nero.
Alla base di queste ricerche è da ricordare una più remota fase decisamente astratta e informale
dell’artista e proprio il fatto di avere alle spalle un lungo e meditato percorso, spiega come le opere anche
più minute e in apparenza oggettuali contengano sempre la parte di un dialogo ancora in essere.
Nelle ultime opere Gentile ha raggiunto quel felice momento di compiuta costruzione spaziale e di
incontro tra materiali diversi, dove la moltitudine di certe lucentezze metalliche, delle rugosità del legno e
della pietra, certi grafismi impressi nella carta, conquistano l’esatto equilibrio espressivo.
Le opere polidimensionali nel ciclo di lavori intitolato “Thèsi”, trovano nella combinazione di una
lamiera di piombo con un filo di ferro e della carta pressata o della pietra, la semplice complessità di
forma e materia che sembra emettere un unico suono.
Quello che acquista importanza nelle sculture è lo spazio da esse creato attraverso e attorno, che

conferisce qualcosa di “non finito” consapevole che lascia spazi a chi fruisce dell’opera di continuarne la
narrazione.
Pur essendo il “cuore” di queste opere composto da una materia fisicamente presente è proprio la sua
“intervallarità” a costituire l’aspetto più singolare che lo differenzia da qualsiasi altra creazione basata su
assemblaggi di elementi trovati e manipolati.
Cerchiamo di accostarci in silenzio al lavoro di Gentile, forse avvertiremo un sottile suono che partendo
dagli spazi vuoti compresi entro la struttura delle opere, riuscirà a farsi strada fino all’orecchio
soprasensibile di chi saprà ascoltare.
Eliana Bevilacqua
storico e critico d’arte