Da Afro a Zec

Opere della seconda metà del '900

Mostra: da sabato 24 settembre a sabato 8 ottobre 2016

Accardi
Afro
Anzil
Berber M.
Burri
Capogrossi
Celiberti
Ciussi
Codognotto
Dadamaino
De Chirico
De Rocco
Dino
Dugo
Guidi
Licata
Mirko
Plessi
Scabar
Scanavino
Zec
Zuccheri Luigi
Zuccheri Toni
L’esposizione ci porta a scoprire l’itinerario di un viaggio che attraversa la storia dell’arte italiana ed europea dal 1950 al 1999 attraversando geograficamente l’Italia e i Balcani; facendo tappa negli studi di artisti che portarono il Novecento friulano e italiano all’apertura al mondo, e artisti contemporanei di nazionalità bosniaca profondamente legati all’Italia. La rassegna inizia con un gioiello di Giorgio De Chirico artista innovatore e isolato che mescola cromatismi folli alle immagini della sua storia le radici classiche fino alla scoperta della pittura del Seicento. Una concezione della realtà vuoi più arcaica, misteriosa e visionaria talvolta attraversata da sentimenti interiori come nel caso di Luigi Zuccheri le cui opere conservano un sapore settecentesco o del figlio Toni Zuccheri che collaborò in qualità di designer con la vetreria Venini e realizzò opere che fotografano il momento esatto del movimento naturale. Per destini individuali di ricerca si muovono Dino, Mirko e Afro Basaldella. Tre distinte personalità nel contesto delle vicende plastiche e pittoriche europee, Dino il maggiore, sviluppa una poetica primitiva, arcaica, che raggiunge con l’esperienza del “ferro” la sua massima espressione, Mirko, l’eclettico da forma all’inconscio primordiale e fantastico aspirando a costruire degli emblemi mitici; Afro la cui pittura è traccia di sentimenti, sogni, emozioni. Egli ricerca un legame con la realtà per recuperare uno spazio fatto di “memoria”. Della vicenda spazialista nella laguna veneta è presente Virgilio Guidi pittore di immagini calme di una luminosità rinascimentale, protese verso l’infinito. Federico De Rocco, allievo di Bruno Saetti, fu uno dei protagonisti assieme a Anzil del Neorealismo friulano che aveva espresso l’impegno per un risveglio della coscienza popolare mirato a obiettivi di riscatto e di giustizia sociale. Toffolo Anzil configura invece una personale visione del Neorealismo come discesa nella parte più intima della propria terra e della propria gente. Le tinte talvolta tenui e delicate utilizzate da Guidi si riflettono nel lavoro di Renzo Codognotto, una pittura sottovoce, rarefatta, orientata verso un lirismo di tipo descrittivo, diretta a fermare la magia della singola scena. Così come impalpabili e delicati sono i pastelli di Franco Dugo il cui tema centrale è la realtà; paesaggi e ritratti, l’antico che a volte si riversa in una nuova rappresentazione immaginativa facilmente leggibile. Protagonista delle avanguardie e grande sperimentatrice Dadamaino elabora un lavoro fatto di migliaia di minuscoli segni. Un’ossessione positiva che sembra aver marcato quasi tutta la sua generazione, un’insistenza e una coazione a ripetere controllata grazie all’invenzione di un “alfabeto” comunicabile per quanto personale. Anche Capogrossi negli anni Cinquanta comincia a elaborare un elemento costante determinato da una somma di segni ripetuti ostinatamente, esplorando fonti mediterraneee di gusto minoico. Un alfabeto composto da simboli e tratti grafici caratterizzano gran parte della produzione di Riccardo Licata in particolar modo negli acquerelli e nelle tecniche miste. Anche Carla Accardi fa del suo lavoro un diario di vita scritto con una lingua nuova che guarda l’altra costa del Mediterraneo intuita dalla sua Trapani. Il labirinto di segni descrive scene, luoghi, esperienza consegnati a un tempo indefinito. Dopo Capogrossi e Licata, Giorgio Celiberti e Carlo Ciussi, che partono da tematiche realiste e figurative per approdare all’informale, senza nessun legame iconografico, ebbero per Venezia un affetto particolare data l’assidua presenza alle Biennali e il rapporto privilegiato (Celiberti) con il gallerista Carlo Cardazzo; mecenate tra gli altri di Emilio Scanavino i cui dipinti non sono trasformazioni informali ma ritratti di stati d’animo in cui cela, interpreta e codifica un universo tanto vicino quanto ignoto. L’esperienza polimaterica è sviluppata invece da Alberto Burri che indaga l’idea del sacro insita in ogni materiale e in ogni forma primigenia. Le trasformazioni della materia manifestano per lui i manifesti e gli esiti di una preghiera mariana. La macchina fotografica, “mano” del tempo nuovo dell’artista, è lo strumento utilizzato da Sergio Scabar che non fotografa ma estrae lo spirito di ciò che attira la sua attenzione per preservarlo dal decadimento. Un collezionista di attimi significativi che ci invita a contemplare un mondo fatto di oggetti comuni, di luci e ombre. Presente in mostra anche la suggestiva arte di Fabrizio Plessi artista di rilievo internazionale. Plessi gira dentro di se con lo spirito del viaggiatore che non accetta i confini imposti. Ogni suo progetto diviene la metafora di un luogo o di un concetto di cui preserva la memoria. Chiudono la rassegna, i bosniaci Mersad Berber le cui opere, testimonianze di eventi e omaggi alla propria terra sono caratterizzate dalla mescolanza di motivi antichi rivisitati in chiave moderna e Safet Zec, artista profondamente riflessivo il cui ciclo pittorico si alimenta dei ricordi della sua cultura attraverso una serie di immagini riconoscibili, dettagliate e leggibili che assumono sorprendenti valori espressivi e inducono lo spettatore a domandarsi di che cosa sono fatti i pezzi del mondo intorno a lui e di che cosa siamo fatti noi stessi.

dott.ssa Eliana Bevilacqua