ZORAN MUSIC

opere su carta

Da sabato 26 settembre a sabato 24 ottobre 2015

Considerato uno degli ultimi grandi pittori della Mitteleuropa, Zoran Mušič ha lasciato un segno indelebile nella storia dell’arte recente per quella sua pittura impregnata di memoria e quel suo astrattismo lirico intriso di malinconia. L’esposizione presso la Galleria d’Arte “La Piazzetta” di Udine, raccogliendo circa una ventina di opere su carta di piccolo formato, realizza il ritratto di un artista simbolo dell’unione tra Est e Ovest, di un’anima solitaria, antimondana, impregnata di spiritualità, ripercorrendone brevemente la sua carriera dalla prima fase sperimentale degli anni Trenta/Quaranta fino al nuovo corso degli anni Ottanta. La matrice stilistica di Mušič si esprime essenzialmente attraverso il valore lirico ed espressivo del colore, solo in parte legato ad esigenze figurative che, nella sua pittura, assurgono essenzialmente al valore di simbolo e notazione grafica. Soltanto le sue opere conoscono infatti il significato del cromatismo in pittura, nel senso stretto della parola. In particolare egli studia i rapporti che le superfici di colore instaurano tra di loro, in tutte le sfumature e tonalità, cercando di mantenere il valore e la bellezza della pura apparizione cromatica. È una pittura che affonda le sue origini nella visione espressa dalla nuova Oggettività, dove l’universo interiore diventa un’esperienza tonale e il soggetto ha la funzione di stimolare la creatività verso tale direzione. Agli esordi la sede ideale di queste sperimentazioni è per l’artista indubbiamente il paesaggio dalmata, che Mušič non interpreta come una rappresentazione naturalistica. In queste terre brulle e spazzate dal vento, si manifestano le tipiche moltitudini di esseri viventi: le contadine al mercato sotto i caratteristici ombrelli, i traghetti carichi di buoi e i famosi Cavallini, figure esili e diafane in gruppo o montate da cavalieri che egli coglie mentre vagano tra le piane rocciose della Dalmazia. I soggetti però, anche se sembra siano tratti direttamente dalla realtà circostante, non sono naturalistici. Gli olivi e i recinti, le stradine e le rocce, gli asinelli, il mercato e le case, il calore del giorno e la frescura dell’ombra degli alberi, le movenze della gente e degli animali, tutto è colto dal mondo reale, per essere successivamente rielaborato in maniera da poter corrispondere all’idea intuitiva della composizione: ogni soggetto rinasce dalla personale esperienza dell’artista. Mušič punta dunque ad un’interpretazione soggettiva, puramente cromatica del soggetto raffigurato. Anche in questi piccoli lavori su carta, si cerca invano delle raffigurazioni di forme concrete: l’individualità del soggetto sfuma sullo sfondo, la sua meta è il colore, il ritmo e la tonalità. Inoltre, la scelta dei luoghi, dei temi e dei soggetti, è indicativa di un tracciato linguistico che si annuncia del tutto inedito. A Venezia, nel dopoguerra, dopo la catarsi subita nel campo della morte, Mušič, arriva nell’opulento splendore autunnale. Ed è qui che finalmente si realizza quella fusione fra correnti occidentali e orientali che fino ad allora avevo lottato nell’artista e che ormai qui si vanno compenetrando. La gratitudine e la gioia di Mušič deflagrano in una proliferazione di acquerelli al tempo stesso scintillanti e velati, che celebrano in inedite vibrazioni l’inesauribile magia veneziana. Venezia è immersa in una atmosfera pulviscolare, dove i singoli soggetti – case, chiese, nasse, reti, pescatori – assumono un aspetto misterioso, incantato, relegati ad una astratta assolutezza. Venezia riaffiorerà ancora più tardi nella sua opera: negli anni Ottanta, si verifica però un cambiamento di clima e una traslazione delle forme nelle vedute lagunari. Una città inattesa e segreta, contrariamente allo scenario abituale, si rivela davanti a noi: ora sono le fabbriche e i cantieri moderni di Porto Marghera a prendere la scena. La sua poetica più personale trova nuovamente il suo avvio con i suoi vecchi motivi dalmati trasporti a distanza nella memoria. Ecco riapparire i mercati rustici, le contadine con i loro muli sui sentieri pietrosi, i bovi caricati sulle barche piatte e i famosi cavallini dalle zampe sottili. Non c’è la superficie impressionista e la sua natura mutevole e atmosferica, ma l’ossatura rude e fissa del suolo, estranea al tempo e all’uomo, senza vegetazione, senza il mutare delle stagioni: il pittore vede del mondo esterno solo ciò che è filtrato dal suo occhio interiore. L’incontro con le colline lunari intorno a Siena, disposte a mammelloni come le colline del Carso, presto dà inizio a una delle serie più forti e più significative della sua opera. Riemergono dunque quelle distese pietrose che lo ossessionavano già dagli esordi, colte da vicino o da lontano, al microscopio o dall’aereo, spazzate da raffiche di vento e dai morsi del sole, e disseminate di cespugli rossi e neri e di recinti bordati di muretti. Al ciclo ascetico delle terre bruciate, succede, attorno agli anni Sessanta, il ciclo ridente di Cortina, con i suoi boschi di larici e le sue praterie smaltate sull’azzurro degli sfondi. Meravigliosi disegni a matita colorata dividono le spirali fiorite dei boschi e dei prati. Per Mušič scoprire una realtà come i prati cortinesi significa, ancora una volta, averla incontrata, quella realtà, trenta, quarant’anni prima ed essersela portata dentro per decenni allo stato di esperienza, di dato vissuto, prima di trovarle una possibile condizione di forma. Come i cavallini, le colline senesi, i miraggi veneziani, cosi ora questi grovigli di fiori semplici, di erbe colorate, di foglie, riaffiorano improvvisi all’attenzione del pittore che, in uno stato di ritrovata necessità espressiva, scrive alcune pagine più eleganti del suo diario pittorico. L’impressione generale di queste opere è forte. Le sensazioni disparate accumulate dall’autore nel corso degli anni hanno finito per fondersi in un tocco continuo, quasi neutro eppure vibrante, ocra e viola, che dà unità allo stile e riflette i tratti, le sfumature tra le ombre e le luci e lo spettatore è soggiogato dalla dinamica e originalità, in loro si scopre la storia e la malinconia di terre sognanti.

IRENE GERMANO