LUCATELLO ALBINO

Venezia 1927 - Tarcento 1984
Foto: su gentile concessione archivio famiglia Lucatello

Inizia la sua attività artistica con il disegno. Virgilio Guidi gli assegna il primo premio al termine di un corso alla scuola libera del nudo presso l’Accademia di Belle Arti diVenezia. Entra nella corrente del neorealismo, sponsorizzato dal Partito Comunista, che allora era al centro di una vivacissima polemica che lo contrapponeva alla corrente astrattista. Albino Lucatello, uno dei giovani artisti veneziani più dotati, arriva quando il Fronte nuovo delle arti sta esaurendo la sua carica propulsiva. Disegna volti di mondine e delle alluvionate del Polesine, operai che riposano, vecchi e soprattutto i carbonai che incontra all’osteria del Bottegon quando, finito il lavoro, vanno a bere il bicchiere di vino. Nel 1952 un suo disegno viene premiato all’Opera Bevilacqua La Masa di Venezia. Ma lui è soprattutto pittore. Il Comune di Venezia gli assegna uno studio a Palazzo Carminati, che conserverà per oltre dieci anni. Dall’ultimo piano da dove gode lo splendido paesaggio dei tetti veneziani dipinge una lunga serie di tetti (quasi sempre su faesite e con colori fabbricati da sé) molto apprezzati dalla critica[1] e che gli valgono il Premio Tursi alla 28ª Biennale di Venezia nel 1956.

In quel periodo inizia la sua stretta collaborazione con la Esther Robles Gallery di Los Angeles. Quando comincia ad affermarsi con i tetti sente il bisogno di cambiare. Dopo una visita al Polesine alluvionato dipinge i ‘Delta’, che saranno molto importanti per la sua maturazione artistica. Si trasferisce per alcuni mesi in un’isola della laguna e nascono gli ‘Orti a Portosecco’ e le ‘Terre’. Questo amore per la terra è intenso e ricompare periodicamente durante la sua attività. Intanto i suoi rapporti con la critica e le istituzioni veneziane si fanno sempre più tesi, si ribella all’ipocrisia latente, non riesce ad adattarsi alle regole tacite della connivenza e si esprime sempre più crudamente. È un divorzio fatto di odio-amore e se ne va conservando pochissimi amici.

Nel 1961 comincia a insegnare all’Istituto d’Arte di Udine e l’anno seguente si trasferisce con la numerosa famiglia, moglie e cinque figli, a Tarcento, un paese in collina contornato dalle montagne. Dopo Venezia l’impatto è forte, non ha più punti di riferimento. Ricomincia a disegnare e dipinge i primi timidi paesaggi. Girando con il motorino (farà la patente solo a cinquant’anni) scopre il Tagliamento: il fiume e la terra, soprattutto la terra che è una costante della sua pittura. Riprendono i periodi: i ‘Tagliamenti’, le ‘Terre’, i ‘Soli’, i ‘Momenti di Natura’, le ‘Nature del Friuli’, la ‘Dialettica uomo natura’. Dicono, e scrivono,[2] che è un ‘astratto concreto’ o uno ‘spazialista’. Ma lui nega con insofferenza. Si considera ancora il realista che è sempre stato. Diceva: «guardate il dettaglio della terra di un bosco, o della trama di un albero, o della rena di un fiume – e vedrete la realtà come la vedo io, altro che astrattista».[3] Nel 1974 il Comune di Vendoglio, gli affitta una vecchia scuola elementare in disuso e lui ne fa il più grande studio della sua vita. È qui che nascono gli ‘ostacoli’, che intercetta nei pali che sostengono le viti in collina e che diventano barriere che intralciano il cammino dell’uomo. Nel 1976 il terremoto gli porta via tutto e lo manda profugo a Grado. Per un anno non dipinge. Come sempre nei momenti difficili si rifugia nel disegno e va a ritrarre le ‘vecchie terremotate’. Solo nel 1978 tornerà ad avere due piccoli studi (a Treppo Grande e a Brazzacco) dove esplode una felicità inventiva nei soliti temi che raggiungono punte intense nell’equilibrio dello spazio. Infine arrivano i Musi, la catena montuosa che circonda Tarcento. Ancora dettagli – della roccia che cambia con il continuo mutare della luce – un discorso che doveva continuare, interrotto dalla morte, nel 1984, dopo una brevissima malattia. Negli anni non era migliorato il suo rapporto con i critici e le istituzioni, perché non riusciva a mascherare la sua natura impetuosa e la franchezza quasi brutale.

Nel 1986 il Comune di Venezia dedica ad Albino Lucatello una grande antologica all’Opera Bevilacqua La Masa. Due anni dopo anche il Comune di Udine gli dedica una retrospettiva nella Galleria d’Arte Moderna. Nel 2004 la Regione Friuli-Venezia Giulia e il Comune di Tarcento organizzano la grande mostra realizzata a Villa Moretti. Sue opere sono esposte al Museo d’Arte Moderna Ca’ Pesaro di Venezia, al Contemporary Arts Museum di Houston, al Museo d’Arte Moderna di Zagabria e al Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Udine.

Fonte: Wikipedia